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In un qualsiasi store della GDO, uno spazio non trascurabile è dedicato alle bibite gassate. Lasciando da parte le “bollicine” alcoliche (birra, spumanti, champagne, etc.), noi di Nimby ci siamo domandati quando sono state inventate le bibite gassate e come si sono diffuse nel mondo, tanto da costringere alcuni Stati a prendere provvedimenti sul loro consumo (e non parliamo di atti necessariamente recenti. Nel 1942 il Council on Food and Nutrition della American Medical Association dichiarò ad esempio: “Dal punto di vista della salute è particolarmente auspicabile porre limiti al consumo di zucchero nella forma di bibite gassate zuccherate e dolciumi dallo scarso valore nutrizionale”).

Prima delle bollicine

Tracce di alcune bevande gassate si trovano sin dall’antichità. Era infatti possibile ottenere una leggera “frizzantezza” grazie alla fermentazione dello zucchero. Non è un caso che, già nell’antico Egitto si producesse la birra (o almeno una bevanda simile alla nostra birra attuale). Ma quello su cui vorremmo concentrarci è sulla commercializzazione e industrializzazione delle bibite gassate analcoliche che, invece, sembra risalire al 1800. Ma andiamo con ordine.

Prima della commercializzazione delle bevande gassate, com’è ovvio che sia, vi è stata quella delle bevande non gassate. Secondo il portale ThoughtCo, le prime bevande analcoliche (non gassate) furono commercializzate in larga scala nel 17° secolo. Nel 1676, ad esempio, alla Compagnie de Limonadiers di Parigi fu concesso il monopolio per la vendita di bevande analcoliche. Si trattava essenzialmente di limonata fatta con acqua, succo di limone e addolcita con miele, menta e qualche spezia. I venditori parigini andavano a giro per la città su grossi carri con botti piene delle loro bevande, vendendole al bicchiere, per contrastare la calura estiva.

Joseph Priestley

La produzione chimica delle prime bibite gassate arriverà però un secolo dopo. Attorno agli anni ’60 del ‘700, infatti, Joseph Priestley mise a punto un sistema per aggiungere anidride carbonica all’acqua. Era la prima volta che si otteneva una bevanda gassata senza la necessità della fermentazione zuccherina.

Foto by Wikimedia

Prima di continuare, però, vale la pena soffermarsi brevemente sulla figura di Priestley. Nato nel 1733 in Inghilterra, Priestley fu chimico e filosofo, unendo in sé lo spirito pratico delle scienze matematiche e l’apertura mentale di quelle umanistiche. Ottimo linguista (parlava correttamente latino, greco, ebraico, tedesco, francese e italiano – oltre ovviamente all’inglese, sua lingua madre), fu professore dell’Università di Edimburgo e si mise in luce per i suoi esperimenti chimici che gli valsero la nomina a membro della Royal Society inglese e dell’Accademia francese delle scienze. Fu in questi anni che Priestley scoprì – oltre al già citato metodo di aggiunta di anidride carbonica ai liquidi – una delle sostanze fondamentali per la vita: fu lui, infatti, a coniare il termine “ossigeno”. Durante i suoi anni accademici, tuttavia, entrò in forte contrasto con la Chiesa, rifiutando il dogma della Santa Trinità e dell’Immacolata Concezione. Anche le sue idee politiche non furono viste di buon occhio: progressista e repubblicano, appoggiò apertamente la Rivoluzione Americana e quella Francese, scagliandosi contro le monarchie. Non stupisce, quindi, se dal 1791 al 1794, fu vittima di atti persecutori che lo videro perdere la cattedra all’università e andare in macerie – per un incendio doloso – prima il suo laboratorio, poi la sua casa. Nel 1794 decise quindi di abbandonare il vecchio continente e si trasferì negli Stati Uniti, da poco indipendenti, dove fu accolto con grandi onori e dove divenne amico e confidente del Presidente Thomas Jefferson. Fu anche grazie al suo sbarco oltreoceano che le bibite gassate si diffusero così rapidamente negli States.

Dalla medicina all’industrializzazione

Torniamo però alle nostre bevande. Quando Priestley ottenne la sua prima acqua gassata non pensò a brevettarla, disinteressandosi della semplice bevanda per concentrarsi sui suoi studi sui gas. Priestley, d’altro canto, era un uomo di scienza, non d’affari. Ma la sua scoperta non passò inosservata e nel 1810, fu emesso il primo brevetto degli Stati Uniti per i “mezzi di fabbricazione in serie di imitazioni di acque minerali”, nella Carolina del Sud. È l’inizio di un amore mai tramontato tra gli Stati Uniti e i cosiddetti soft drink. Amore che, tuttavia, nasce sotto l’egida della medicina. Nel 1832, infatti, tale John Mathews inventò il suo apparato per produrre acqua gassata e cominciò a vendere in serie le sue bottiglie. Ma non come piacevoli dissetanti, quanto come rimedi contro molti malanni, primi tra tutti la tosse, il mal di gola e il mal di testa. Nonostante la loro ovvia inefficacia medicinale, la gente apprezzò quella nuova bevanda, soprattutto quando, pochi anni dopo, si diffusero delle varianti aromatizzate allo zenzero e al limone (la più famosa prese il nome di giner ale).

Foto by Wikimedia

Ben presto le decantate proprietà guaritrici furono del tutto accantonate e si puntò sui nuovi prodotti per quello che erano: bevande gustose, dissetanti e ricche di zuccheri. La domanda si fece sempre più grande e nacquero molti marchi destinati a durare nel tempo. È in questo periodo, ad esempio, che viene creata la Coca Cola, per mano del farmacista John Stith Pemberton, che altro non era che una versione gassata del “vino di coca”, una miscela di vino e foglie di coca che aveva avuto largo successo in Europa quando era stata creata dal farmacista còrso Angelo Mariani. Pemberton, però, puntò forte sulla bevanda come medicinale e – non riscuotendo il successo sperato – vendette formula e diritti ad Asa Candler per 2.300 dollari. Candler la trasformò poi in una delle principali industrie del Paese. Ma la Coca Cola è sola una delle storie legate alla seconda metà dell’800. Nel 1897, ad esempio, Caleb Bradham lanciò la sua Brad’s Drink. L’anno successivo, dopo un discreto successo locale, Bradham decide di espandersi e, per scopi pubblicitari, cambiò nome al prodotto. Visto che nella sua cola era presente la dyspepsia – ingrediente aggiunto come “digestivo” – optò per un nome che è rimasto invariato sino ad oggi: Pepsi.

Foto by Flickr

E nel vecchio continente? Anche in Europa i soft drink trovarono terreno fertile. Nel 1851, a Londra, si tenne la Grande esposizione delle opere dell’industria di tutte le Nazioni (considerata il primo vero Expo internazionale) e la ditta Schweppes fu designata come fornitrice ufficiale di bevande. Il risultato? Schweppes vendette oltre un milione di bottiglie di limonata gassata, di birra allo zenzero, di acqua Seltzer e acqua gassata.

Il passaggio a una produzione industriale su larga scala fu solo la logica conseguenza di questi numeri. Nel 1899, infatti, fu costruito un macchinario capace di produrre bottiglie di vetro soffiato in grosse quantità, passando dalle 1.500 bottiglie giornaliere che si riuscivano a ottenere, a quasi 60.000. Questo, assieme all’invenzione delle lattine in alluminio degli anni ’30, è un passaggio fondamentale perché senza una perfetta sigillatura si andava a perdere la caratteristica “frizzantezza” delle bevande, che non potevano quindi essere esposte nei negozi per lunghi periodi e che venivano quindi servite soprattutto alla spina. Con le nuove bottiglie e il sistema di chiusura ermetico con il tappo a corona, si supera questo problema dando vita al boom vero e proprio.

Le bibite, soprattutto al gusto di cola ormai, sono trasportabili, economiche, dolci e conquistano il mercato. È facile che la gente se le porti in giro ovunque vada, anche nelle famose confezioni da 6 brevettate negli anni ’20. Con l’arrivo dei distributori automatici e la diffusione dei trasporti su gomma, poi, le bibite diventano un vero e proprio pilastro dell’economia – da prima statunitense e poi mondiale.

Foto by Flickr

Produzione attuale

Ad oggi sono registrate circa un migliaio di varietà di bibite diverse, che fanno però capo a solo 195 società (la principale è ovviamente la Coca Cola che, secondo gli studi del dottor Philip H. Howard, docente dell’Università del Michigan, controlla da sola il 43% dei marchi di bibite in vendita sugli scaffali). Ma di che numeri stiamo parlando? Enormi, certo, ma non semplici da reperire. Si trovano diverse statistiche online ma che quasi sempre accorpano bibite gassate con tè freddo, caffè e acqua minerale. Secondo il portale Statista, ad esempio, negli Stati Uniti c’è un consumo pro-capite annuale di circa 41 litri di soft drinks, ma – appunto – non viene specificato se effettivamente si tratta di bevande gassate. La cosa che possiamo fare, tuttavia, è quella di riportare i dati di fatturato delle tre principali marche di soft drink nel mondo (Coca-Cola Company, Pepsi Co. e Dr Pepper Snapple Group Inc.) che, insieme, nel 2018 hanno fatturato quasi 110 miliardi di dollari, in una sfida che ha contraddistinto il mondo delle bevande gassate sin dagli albori della loro storia.

Fonti

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