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Ogni donna, o quasi, è solita a portare sempre con sé qualche assorbente in borsa, in caso dell’arrivo inaspettato del proprio ciclo o di quello di qualche amica. La maggior parte delle donne non potrebbe immaginare una vita senza i tamponi e gli assorbenti compatti che troviamo senza problemi nei supermercati e che diamo per scontati. Ma la vita delle donne non è sempre stata così, visto che hanno dovuto affrontare e gestire i loro cicli mestruali da molto prima che venissero inventate queste soluzioni. Purtroppo si trattava di metodi per lo più immobilizzanti per le donne, che rendevano loro più difficile o impossibile la partecipazione attiva alla società.

Il dibattito è quanto mai aperto, soprattutto sulla tassazione di questi prodotti fondamentali per la vita di ogni donna. Che non sono certo un lusso.

In questo articolo ripercorriamo la storia della gestione nel corso delle epoche del ciclo mestruale e di come si è arrivati ai primi modelli commercializzati e più vicini a quelli che conosciamo.

Foto di Cliff Booth da Pexels

Dall’antichità all’era vittoriana

Molte donne in tutto il mondo in passato non avevano alcun mezzo per assorbire il loro sangue mestruale: dovevano cambiarsi spesso d’abito e di solito erano costrette a stare chiuse in casa o in sistemazioni, come tende e capanne, isolate, separate e ostracizzate dalla società, perché considerate impure e indegne.

Dobbiamo tenere pure in considerazione come l’alimentazione non fosse sempre costante e sostanziosa e di come si vivesse in condizioni igieniche spesso precarie: questi due elementi erano e sono in grado di influenzare molto l’attività delle ovaie e, di conseguenza, quella del ciclo mestruale. Il flusso stesso non era uguale per tutte ed era suscettibile a molte variazioni: in generale c’era così scarsa conoscenza della natura femminile, associata a una sorta di tabù riguardante l’argomento, che tutto veniva coperto da un velo di silenzio. Inoltre, l’aspettativa di vita nelle varie epoche passate era decisamente poco rosea: le donne erano in età da marito già da adolescenti, circa un anno dopo dal primo ciclo, e per loro era la norma sostenere continue e numerose gravidanze, con tutti i rischi legati alle complicanze del parto, che spesso terminavano con una morte prematura. In questo quadro, a una donna in età fertile poteva quindi capitare raramente di avere a che fare col ciclo mestruale, fra gravidanze e allattamenti protratti per permettere la sopravvivenza dei figli.

Nell’antico Egitto è stato constatato che le donne usavano il papiro ammorbidito o il lino per creare oggetti simili ai moderni tamponi, e che vi erano lavandaie impegnate specificamente a lavare questi lembi di tessuto, compito considerato tra i più umili a livello sociale. In Giappone si producevano assorbenti interni di carta, che si dovevano cambiare più di dodici volte al giorno. Le donne di Sparta, Atene e dintorni creavano i loro tamponi avvolgendo qualche strato di garza attorno a piccoli pezzetti di legno, che servivano ad agevolarne l’inserimento. Solo nell’Impero Romano si iniziano a sperimentare metodi diversi, usando bende di lana da tenere agganciate a cinture legate in vita sotto le vesti.

Nel Medioevo, le donne probabilmente usavano stoffa e stracci per assorbire il sangue mestruale; i rimedi erboristici e la medicina dell’epoca servivano per controllare il flusso, il dolore e l’odore. La Chiesa, tuttavia, riteneva che il dolore dei crampi non dovesse essere ridotto, perché era un ricordo del peccato originale – da notare che questa e altre credenze senza fondamento, come che il sangue mestruale fosse velenoso, persistettero addirittura fino alla metà del XX secolo.

Nell’epoca della caccia alle streghe e dell’Inquisizione anche solo parlare di mestruazioni era pericoloso e si vivevano quei giorni in gran segreto. Per molte popolane le mutande erano un accessorio ancora sconosciuto, mentre le donne di ceto più alto usavano delle culotte simili a quelle indossate dagli uomini; alcune di loro avevano anche ideato una sorta di pantaloncino che potesse contenere degli scampoli e degli avanzi di tessuto che fungessero da assorbenti. Un altro sistema abbastanza diffuso prevedeva l’uso di un particolare tipo di muschio dal nome di Sphagnum palustre che aveva una forte azione assorbente (infatti veniva utilizzato anche per contenere le emorragie). In generale, nel guardaroba femminile non mancavano capi di colore rosso, per cercare di mimetizzare il più possibile eventuali macchie.

A rendere ancora più complicata l’igiene femminile, tra il Seicento e il Settecento ci fu pure la convinzione che lavare la biancheria intima fosse una pratica da evitare, perché favoriva la circolazione di malattie nell’ambiente domestico. Per far fronte a odori corporei poco gradevoli, quindi, non restava altro che spruzzare del profumo, motivo per cui all’epoca si faceva largo uso di fragranze dalle note forti e decise.

Dall’era vittoriana ai giorni nostri

Come abbiamo accennato in precedenza, fino alla maggior parte del XX secolo una cattiva informazione ha fatto da padrona su questo argomento, grazie anche ai contributi di medici e scienziati. Moltissime giovani donne hanno appreso dell’esistenza delle mestruazioni da altre ragazze o direttamente dall’esperienza del primo ciclo: le madri si vergognavano così tanto che nascondevano questa cosa persino alle proprie figlie. Si parlava talmente poco di questa tappa obbligatoria e inevitabile della vita di ogni donna, che mancava totalmente in loro la consapevolezza e la percezione del proprio corpo.

Fino all’epoca vittoriana le signore non portavano mutande capaci di trattenere un assorbente: le prime, risalenti a inizio Ottocento, erano poco più che due gambali legati in vita. O ancora, sotto alle grandi gonne si faceva uso di un “grembiule mestruale”, cioè di una sottogonna spessa e rivestita di gomma, che veniva legata in vita e che si aggiungeva alle normali sottovesti per rendere impermeabile la seduta.

Si può dire che l’Ottocento segnò l’inizio dell’industria degli assorbenti igienici: alcuni erano lavabili e altri usa e getta (alcuni andavano addirittura bruciati dopo l’uso). Questi assorbenti, simili a quelli che usiamo oggi, hanno fatto la loro prima comparsa in Germania e negli Stati Uniti, ma non si è trattato di un successo immediato, anzi: le donne provavano troppo imbarazzo per comprarli, per cui continuavano a usare quelli casalinghi, fissandoli con spille da balia, cordini o cinture di tessuto, e lavandoli e rilavandoli mese dopo mese.

Tra i primi ad aprire la strada agli assorbenti igienici usa e getta prodotti in serie, ci fu la Johnson & Johnson che nel 1897 iniziò a commercializzare i Lister’s Towels, fornendo finalmente un’alternativa ai metodi fai da te su cui le donne avevano fatto sempre affidamento. Le prime versioni erano chiamate “Sanitary Napkins for Ladies” (letteralmente “Tovaglioli sanitari per signore“) o appunto “Lister’s Towels“, in riferimento al dottor Joseph Lister che sviluppò la chirurgia sterile e ispirò la fondazione della stessa Johnson & Johnson.

Negli anni ’20, l’azienda dovette ribattezzare il prodotto in Nupak per rendere meno evidente la sua connessione con le mestruazioni; la scatola aveva un’etichetta su un lato con solo il marchio e il nome dell’azienda. Gli altri lati della scatola apparivano semplici, in modo che potesse essere trasportata o riposta senza imbarazzo. Infatti, all’epoca in cui furono introdotti i Lister’s Towels, lo stigma del ciclo era ancora così forte che la pubblicità del prodotto era vista come immorale e le donne non volevano essere viste mentre lo acquistavano, quindi solo in poche sentirono parlare del prodotto e/o lo comprarono. Gli assorbenti igienici usa e getta non ebbero presa fino agli anni ’20 e, inoltre, risultavano ancora troppo costosi per la maggior parte delle tasche delle donne.

Durante la Prima Guerra Mondiale le infermiere francesi, impegnate negli ospedali militari, constatarono che il Cellucotton, un nuovo materiale ricavato dalla combinazione di cellulosa e cotone che serviva per assorbire il sangue delle ferite dei soldati, era più performante rispetto al semplice cotone con cui erano fatti i pannolini lavabili di allora. Le infermiere usarono quindi gli avanzi e i ritagli dei bendaggi per farne assorbenti. Finito lo sforzo bellico, la Kimberly-Clark, l’azienda produttrice del Cellucotton, tentò di riconvertire la sua attività utilizzando questa scoperta nella composizione di un nuovo assorbente femminile usa e getta, Kotex, riscuotendo molto più successo dei Lister’s Towels o del Nupak, nonostante le vendite all’inizio stentassero ad ingranare. Fu difficile introdurre questo prodotto sul mercato: in molte erano imbarazzate a chiedere i Kotex in negozio e, per questa ragione, la Kimberly-Clark chiese ai negozianti di lasciare una scatola discreta e anonima in cui le clienti potessero lasciare i soldi, senza passare dalla cassa. Questa soluzione incoraggiò quindi l’esposizione e la vendita sui banconi, senza dover più costringere le donne a pronunciare nomi o parole ritenute fuori luogo.

Foto by wikimedia

La Johnson & Johnson nel 1928, sulle orme della Kimberly-Clark, utilizzò a sua volta il Cellucotton nella produzione degli assorbenti Modess, iniziando anche ad includere dei “Silent Purchase Coupons” (letteralmente “buoni d’acquisto silenziosi“), presenti sulle riviste femminili, in modo che le donne potessero acquistare questi articoli consegnando direttamente il ritaglio di giornale, in totale discrezione e senza mai dover pronunciare il nome. Il prodotto era ancora presentato in una semplice e anonima scatola, per non causare imbarazzo, e poteva essere avvolto in carta da pacchi e portato a casa. Allo stesso tempo, l’azienda capì l’importanza della pubblicità e tentò di rendere Modess attraente soprattutto per una generazione più giovane sottolineando la sua modernità all’avanguardia. Perciò, sempre negli anni ’20, fu creata una serie di pubblicità che giocava sulle differenze tra la generazione più giovane, dell’era del jazz, e quella dei loro genitori. La campagna pubblicitaria si chiamava “Modernizing Mother” ed era incentrata sulle figlie che cercavano di insegnare alle loro madri a essere meno antiquate e a stare al passo con i tempi. Nonostante l’appello a una generazione più giovane meno vecchio stile, rimaneva ancora lo stesso problema: le donne, pure quelle dei moderni anni ’20, non se la sentivano di parlare esplicitamente di questo argomento, perché considerato tabù.

Questa nuova tipologia di prodotti riuscì comunque a farsi spazio sul mercato grazie anche all’evoluzione stilistica della biancheria intima che diventava man mano sempre più sgambata ed era perciò più facile e confortevole tenere in posizione l’assorbente.

Il 1931 vide la creazione di un prodotto ormai diffuso su larga scala, cioè del primo assorbente interno come lo conosciamo ancora oggi, realizzato in cartone e cotone e dotato di un applicatore telescopico in modo che permettesse l’inserimento in maniera facile e corretta. L’invenzione è attribuibile a un medico che si chiamava Matthew Martin e venne commercializzata per la prima volta nel 1936 proprio dalla Tampax, azienda tuttora leader nel campo. Nonostante l’assorbente interno, almeno concettualmente, fosse nato già nell’800 per tamponare le ferite di guerra provocate da pallottole e sia stato introdotto nel mercato dalla seconda metà degli anni ’30, questo non venne adottato da molte donne per diversi decenni: infatti, i medici professionisti e le donne stesse temevano che il tampone potesse causare irritazione e infezioni all’interno della vagina. Le esperienze di donne che avevano lasciato i tamponi troppo a lungo vennero utilizzate per sostenere queste tesi e paure non troppo fondate. I medici consigliavano anche alle vergini di evitare gli assorbenti interni, sostenendo che avrebbero danneggiato l’imene. Solo nel 1952, la Tampax dichiarò e pubblicizzò che il prodotto non aveva alcun effetto sulla verginità di una donna; negli anni ’60 e ’70, i tamponi erano sempre più utilizzati e nell’educazione sessuale si insegnava che l’imene non indica la verginità, e che quindi un tampone non avrebbe influenzato il proprio stato verginale; l’atteggiamento nei confronti del sesso iniziò in generale a cambiare e le donne divennero più a loro agio nell’uso dei tamponi, specialmente quelle più giovani.

Foto by wikimedia

Dagli anni ’30 agli anni ’70 non si verificarono molti cambiamenti notevoli legati agli assorbenti. I primi assorbenti senza cintura uscirono nel 1972, ed erano previsti più modelli, in base ai diversi livelli di flusso. Negli anni ’80 arrivarono sul mercato le versioni dei moderni pad con le ali. Negli anni ’70, la Stayfree rilasciò il primo assorbente senza cintura, che aveva un adesivo sul fondo in modo che aderisse meglio alla biancheria intima e non si muovesse; il prodotto riscosse un successo immediato e altri marchi seguirono l’esempio.

I tamponi continuarono ad aumentare la loro popolarità, ma un enorme problema di salute legato al loro utilizzo fece notizia quando furono stati segnalati oltre 5.000 casi di sindrome da shock tossico (TSS) tra il 1979 e il 1996. La maggior parte di questi casi era legata a una marca in particolare che utilizzava specifici materiali, ora non più presenti sul mercato. Sebbene questi problemi di salute non abbiano scoraggiato le donne dall’utilizzare i prodotti, hanno portato alla luce una mancanza di regolamentazione del governo sulla sicurezza e la composizione dei prodotti mestruali. Ciò ha portato anche ad avere una maggiore attenzione su alternative più “naturali”.

Quella della coppetta mestruale non si tratta di una recente invenzione: i primi prototipi furono brevettati negli Stati Uniti tra gli anni 1860 e 1870, erano in alluminio o gomma dura e venivano solitamente attaccati ad una cintura.

I primi modelli moderni, più simili a quelli che conosciamo oggi, risalgono al 1937 grazie all’attrice americana Leona Chalmers, la quale inventò il modello della coppetta mestruale realizzata in gomma di lattice. Durante la seconda guerra mondiale si verificò una carenza di lattice di gomma e l’azienda fu costretta a interrompere la produzione. All’inizio degli anni ’50, sempre la signora Chalmers apportò nuovi miglioramenti e brevettò un nuovo design.

Nonostante le donne fossero progredite dagli anni ’30, queste non erano ancora aperte all’idea di usare una coppetta mestruale come protezione interna riutilizzabile. Le coppette riutilizzabili, le spugne mestruali e altre opzioni biodegradabili trovarono nuova popolarità a partire dagli anni ’70, grazie soprattutto alla crescita dei movimenti femministi e ambientalisti tipici di quel periodo.

Foto by Unsplash

In generale, tra piccole migliorie tecniche e pubblicità fin troppo “discrete”, dovrà passare ancora qualche decennio prima che gli assorbenti si affermino sul mercato e raggiungano lo status attuale di accettazione. Oggi è possibile trovare e scegliere tra una miriade di opzioni per la gestione del proprio ciclo: dalle mutande alle coppette mestruali, dagli assorbenti e tamponi organici e, naturalmente, ai tamponi standard e maxi-assorbenti che rimangono ancora i più scelti. Hanno ricominciato a ritrovare popolarità anche le alternative di stoffa del 1800 e altri metodi organici riutilizzabili, soprattutto per la crescente preoccupazione per l’impatto ambientale causato dai prodotti usa e getta.

Una maggiore consapevolezza sulle diverse opzioni permette alle donne di avere controllo della propria vita e della propria salute.

Fonti

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