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Il topinambur è una pianta erbacea perenne originaria del continente americano, con un fusto che può arrivare fino a oltre 3 metri di altezza, dei fiori gialli che ricordano vagamente i girasoli e dei tuberi sotterranei commestibili, simili a grosse rape o, alla lontana, a delle patate bitorzolute. Una volta piuttosto di nicchia, il topinambur è oggi facilmente trovabile in molti punti vendita, anche della GDO, diventando a tutti gli effetti un alimento facente parte delle nostre cucine.

Ma come si usa il topinambur? Da dove viene questo strano tubero? Perché si chiama topinambur? E perché in America lo chiamano invece “carciofo di Gerusalemme” (Jerusalem Artichokes) anche se non è un carciofo e non proviene da Gerusalemme? Andiamo con ordine e rispondiamo a tutte queste domande.

Foto by wikimedia

Uso

Intanto cominciamo a dire che esistono due varietà di topinambur: una bianca (che troviamo in commercio da fine agosto) e una viola (che troviamo invece da ottobre fino ad inizio primavera). Entrambe queste varietà sono commestibili e sono state riscoperte recentemente dalle cucine di quasi tutto il mondo per il loro sapore delicato (che ricorda effettivamente quello del carciofo), ma anche per le loro proprietà: il topinambur, infatti, è adatto all’alimentazione dei diabetici, perché rallenta l’assorbimento degli zuccheri e dei grassi nell’intestino, non contiene glutine, ed è quindi consumabile anche da chi soffre di celiachia, e ha pochissime calorie, rendendosi quindi adatto a chi cerca una dieta ipocalorica.

Altro pregio è la sua grande versatilità. Si può infatti mangiarlo crudo, si può bollirlo, friggerlo, stufarlo, farlo al vapore, al forno, al microonde, frullarlo per ottenerne una purea, saltarlo in padella come piatto principale o come semplice contorno. È insomma un alimento che si presta davvero a numerose ricette.

Origini & nome

Il topinambur, che oggi è coltivato comunemente ovunque, anche in Italia, deriva dal nord America. Dal Canada, pare, dove veniva chiamato “chiquebi” dagli indigeni. Perché topinambur allora? Il motivo è di… marketing! I commercianti francesi, che riportarono in patria il tubero, cercavano un nome accattivante per le masse, qualcosa che richiamasse alla mente dei consumatori lontani paesi esotici, scenari legati alle tribù indiane d’oltre oceano. Caso volle che, nel 1613, alcuni navi che tornavano dalle Americhe, portarono con sé alcuni membri proprio di una tribù indiana, la tribù dei Tupinamba, che furono presentati al mondo occidentale durante una grande manifestazione a Parigi. L’enorme curiosità suscitata e il grande scalpore che la tribù portò con sé, deve aver acceso la lampadina di qualche commerciante che cominciò così a chiamare i tuberi provenienti dal Canada proprio Topinambur, francesizzando cioè il nome della tribù indiana. La trovata ebbe successo e spiega anche come mai il nome topinambur abbia attecchito solo in europa, mentre in america viene chiamato Jerusalem Artichoke, ovvero carciofo di Gerusalemme. Ma perché? In fondo non è un carciofo e non deriva da Gerusalemme.

Questa volta il “merito” è tutto italiano. Il topinambur, infatti, era facilmente reperibile negli Stati Uniti, aveva un prezzo irrisorio, e veniva quindi spesso utilizzato dagli immigrati che non avevano molti soldi. Tra questi anche gli italiani che, non conoscendolo, cominciarono a chiamarlo carciofo del girasole. Il motivo lo sappiamo: carciofo perché il suo sapore effettivamente lo ricorda, e girasole perché la sua pianta ha dei bellissimi fiori gialli che possono ricordare – appunto – i girasoli.

Foto by wikimedia

Quando anche gli americani cominciarono ad interessarsi a questo alimento, il nome “carciofo del girasole” era già piuttosto diffuso e fu quindi adottato da tutti. Ovviamente tra l’italiano masticato dagli immigrati e l’immancabile “adattamento” alla lingua madre, qualcosa è andato storto. E se il carciofo è rimasto, la parola girasole è stata trasformata in Jerusalem.

Finita qua? Assolutamente no.

Probabilmente il nome Frieda Caplan dirà poco ai lettori italiani. Negli Stati Uniti è però stata una donna di gran successo, che ha contribuito a rivoluzionare il mercato degli alimenti freschi. Secondo l’Entrepreneur è stata anche la prima donna a “lanciare, possedere e gestire un’attività all’ingrosso nell’industria dei prodotti alimentari statunitensi”.

La Caplan non era una cuoca, non conosceva benissimo i vari prodotti, ma conosceva le persone, dopo aver lavorato per anni in un mercato alimentare. Sapeva, ad esempio, dell’importanza che i nomi e il packaging possono ricoprire. Un esempio? Sino al 1959 negli Stati Uniti si vendeva il Chinese gooseberry. O meglio, si provava a vendere, perché in pochi ne erano estimatori. La Caplan decise di provare a cambiare qualcosa. Si informò meglio su questo particolare frutto, si fece dire dove veniva coltivato e come veniva chiamato in madre patria. Scoprì quindi che era originario della Nuova Zelanda dove veniva chiamato “kiwi”. Perché non provare a venderlo come kiwi, allora? I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

La Caplan provò qualcosa di simile anche con il topinambur, o meglio con il Jerusalem Artichokes. Visto che Gerusalemme non c’entrava e derivava solo dalla storpiatura della parola girasole, perché non tornare all’origine e chiamare questo tubero semplicemente “sunchoke”? Non vi stupite, quindi, se – sui banchi statunitensi – troverete nomi differenti per il medesimo alimento.

Fonti

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