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Esattamente 100 anni fa il proibizionismo negli Usa costrinse centinaia di ristoranti a chiudere, poiché era stata eliminata la loro maggiore fonte di guadagno: l’alcol. Nonostante questo, negli anni ’20 il numero di ristoranti negli Stati Uniti è triplicato, in parte perché vennero creati luoghi specializzati dove i bambini potevano mangiare insieme ai loro genitori cibi come hot dog, hamburger e frappè. Come ha spiegato l’economista americano Tyler Cowen nel suo libro An Economist Goes to Lunch “il divieto di vendita di alcolici ha posto i bambini al centro della nostra cultura culinaria. Il proibizionismo ha reso il palato americano infantile, poiché ogni pasto che veniva servito era anche adatto ai bambini”.

Come mai il palato degli americani è diventato più infantile e in generale meno sofisticato? Durante gli anni ’20 l’alcol veniva comunque consumato in locali illegali, i famosi speakeasy, oppure nelle abitazioni private. Spesso negli speakeasy veniva servito anche del cibo ma la qualità era infima e i prezzi alti. Questi locali erano segreti, non potevano dare nell’occhio, per questo motivo non riuscirono mai a sviluppare una reputazione come innovatori della cucina. I clienti dovevano essere persone conosciute, di cui ci si poteva fidare, pertanto non c’era molto interesse ad attirare nuovi clienti con una buona qualità del cibo.

Foto by Wikimedia

Inoltre l’illegalità dell’alcol annullò anche le diffusione del vino poiché era un prodotto più delicato da tenere in magazzino, più difficile da trasportare e da vendere. Quello che si beveva erano principalmente liquori di bassa qualità che di certo non aiutavano nella degustazione del cibo. Il palato degli americani si era talmente abituato a quel sapore che l’uso di quel genere di alcolici continuò anche dopo il proibizionismo. Infatti anche durante tutto l’arco degli anni ’40 tra gli americani era comune bere whisky durante i pasti al posto del vino, anche nei ristoranti gourmet.

Il consumo di alcol pro capite non tornò ai livelli pre proibizionismo fino al 1973, quindi possiamo dire che lasciò un segno indelebile nella storia degli Stati Uniti. Il proibizionismo ebbe fine nel 1933, ovvero nel bel mezzo della grande depressione che non era un buon periodo per la riapertura dei ristoranti. Alcuni ritengono che la ripresa del settore culinario sia avvenuta a New York sei anni dopo la fine del proibizionismo, altri sostengono che fu nel 1941 quando a New York aprì il ristorante Le Pavillon.

In quel periodo, nel 1939, gli Usa stavano per entrare nella seconda guerra mondiale, cosa che assestò un ulteriore colpo alla qualità del cibo. La guerra spinse l’America verso prodotti di scarsa qualità e a buon mercato, incoraggiando la diffusione di alimenti in scatola e ristoranti fast food. Infatti, durante la guerra ci fu il boom di ristoranti ma si trattava appunto di un altro tipo di locale. A causa della guerra sei milioni di donne iniziarono a lavorare per la prima volta, ma erano donne che avevano una famiglia e i mariti erano al fronte. Pertanto i pasti dovevano essere veloci e convenienti per andare in contro alle loro esigenze e alla mancanza di tempo, le famiglie avevano bisogno di prodotti economici che potessero essere consumati in fretta. Questo incentivò la nascita di tavole calde, fast food, burger joints e caffetterie. Possiamo dire che le radici del cibo che caratterizzò gli anni ’50 e ’60 affondano proprio nel primo periodo della guerra e nella distruzione del fine dining dovuta al proibizionismo.

Foto by Flickr

Il razionamento durante la guerra mise il cibo di qualità in fondo alle priorità. Le persone mangiavano spesso carne di pollo da allevamento intensivo e la carne in scatola Spam divenne molto popolare perché era facile da conservare, da servire e conteneva buone quantità di proteine, grassi e sale. Gli ortaggi e la frutta invece erano difficili da reperire per la scarsità di manodopera e dei trasporti. L’uso di prodotti come caffè, burro, formaggi, oli e zucchero era molto ridotto. Si mangiavano meno zuccheri e meno carne di maiale, ma l’apporto calorico rimase comunque molto elevato. Crebbe il consumo di carne di manzo, con un picco nel 1943, ben presto il consumo di carne di manzo divenne uno status symbol quindi la qualità lasciò il posto alla quantità. Diversamente dall’Europa gli Usa potevano contare su una buona industria e agricoltura, ma le distanze erano maggiori tra le città e le fattorie. I prodotti in scatola erano quindi fondamentali, per la conservazione e la facilità di trasporto, fu per questo motivo che la loro diffusione fu significativa.

Foto by Flickr

Mentre in USA la qualità della carne diminuiva era comunque molto consumata a differenza dell’Europa. Nel vecchio continente l’economia fu colpita più duramente, il cibo semplicemente non c’era e questo portò a un aumento della produzione locale. Anche in Europa la qualità del cibo ovviamente diminuì ma non portò la popolazione europea a orientarsi verso un cibo che fosse conveniente, in grandi quantità e di scarsa qualità nel periodo postbellico. L’Europa non aveva la capacità per avviare una produzione di massa, ma sviluppò maggiormente la produzione locale mentre negli Usa si sviluppò il trasporto su grandi distanze. Ironia della sorte, l’Europa soffrì di più la fame e questo portò a una successiva migliore qualità del cibo mentre invece in America avvenne il contrario.

Fonti

 

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