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La ristorazione giapponese ha invaso l’occidente, è davanti agli occhi di tutti. Ma di che numeri stiamo parlando? Quale crescita c’è stata? E – soprattutto – siamo arrivati alla saturazione del mercato o c’è ancora margine di aumento? Di questo – ma anche di cucina giapponese in generale – vogliamo parlarvi in questo articolo.

Sushi

Iniziamo parlando un po’ di sushi. Che cosa sia il sushi forse è banale dirlo, ma repetita iuvant: con sushi, non si intende un piatto, bensì un insieme di piatti tipici della cucina giapponese a base di riso e altri ingredienti come pesce, alghe, vegetali o uova. Il ripieno di un piatto di sushi può essere crudo, cotto o marinato e può essere servito appoggiato sul riso, arrotolato in una striscia di alga, disposto in rotoli di riso o inserito in una piccola tasca di tofu. Parlare di sushi, quindi, significa grosso modo parlare di una grande varietà di piatti e – con le dovute differenze – è come parlare di “pasta”, termine che indica più una tipologia di portata che un piatto unico.

Le diverse tipologie di sushi classico sono, per lo più, quelle presenti nei ristoranti che si sono diffusi anche in occidente: si va dai nigirizushi (polpettine di riso modellate a mano con una fettina sottile di pesce sopra), agli uramaki (piccoli cilindri di riso ripieni con pesce e alga nori), passando per i temaki (un cono di alga ripieno di riso e pesce e verdure) e i chirashizushi (una ciotola di riso con gli ingredienti mischiati al suo interno), ma ci sono moltissime varietà.

La qualità

Uno dei dubbi che più spesso si insinuano negli avventori dei ristoranti giapponesi è che i piatti consumati non siano come quelli serviti nella terra del Sol Levante, sia come composizione che come qualità. È, d’altra parte, un dubbio legittimo, che coinvolge tutte le cucine etniche. E in effetti, in occidente, è facile che alcuni piatti si siano dovuti adattare ai gusti alimentari dei paesi in cui si sono diffusi, andando a utilizzare materie prime non comuni ai piatti di sushi classici. Troveremo quindi anche portate contenenti peperoncino, capasanta, maionese, pollo, manzo, semi di sesamo tostati o altri alimenti non propriamente tipici di questa particolare cucina orientale.

Per quanto riguarda la qualità, invece, alcune blogger giapponesi hanno girato alcuni ristoranti presenti in europa o in america, riscontrando una qualità discreta delle diverse portate, non lontana da quelle mangiate comunemente in patria. Il piatto più difficile da replicare fedelmente? A quanto pare è il ramen, una zuppa a base di sottili tagliatelle di frumento servite in brodo di carne e pesce, spesso insaporito con salsa di soia o di miso e con guarnizioni come maiale affettato, alghe marine secche, uovo marinato, cipolla verde e a kamaboko (delle rondelle colorate a base di pesce).

Storia del sushi

Fatta chiarezza su cosa sia il sushi e sulla sua effettiva qualità anche nei ristoranti aperti in occidente, ci piacerebbe riportare anche un minimo di storia che ci aiuti a capire come siamo arrivati al sushi moderno. La storia del sushi inizia nell’antichità, circa duemila anni fa, quando la coltivazione del riso giunse in Giappone presumibilmente dalla Cina.

Per diventare sushi chef occorre una lunga gavetta. Si inizia facendo le pulizie all’interno dei locali, per poi entrare in cucina come lavapiatti. In seguito si passa al ruolo di responsabile del lavaggio del riso, una procedura all’apparenza semplice ma che deve essere svolta perfettamente se si vuole ottenere un riso da sushi perfetto. Solo dopo si passa al grado di Wakiita, “colui che sta vicino al piano da taglio” e infine a quello di chef e maestro.

Ma in realtà il sushi non nasce come piatto, bensì come metodo di conservazione: secondo Ole Mouritsen, un biofisico della Syddansk Universitet, infatti, il pesce fresco, sviscerato e salato, veniva sistemato in contenitori pieni di riso fermentato, capaci di preservare il pescato addirittura per diversi mesi. Solo intorno al 1400, durante quello che prende il nome di periodo Muromachi, si cominciò a mangiare il pesce e il riso utilizzato per la sua conservazione: nacque così il namanare, un piatto composto da pesce crudo arrotolato nel riso. Questa tipologia di piatto, ancora oggi considerata la capostipite del sushi moderno, non era però di aspetto simile a quello a cui siamo abituati. Per arrivare al sushi contemporaneo si deve arrivare addirittura a metà del 1800, nel periodo Edo, quando Hanaya Yohei, un piccolo ristoratore, aprì a Edo (l’attuale Tokyo) una bancarella di sushi nella quale utilizzava del riso fermentato velocemente con l’aceto, facendone poi delle palline e sistemandoci sopra delle sottili fette di pesce: nasceva così il sushi moderno. Quella di Yohei era una tecnica innovativa, che accorciava i tempi di preparazione e fece leva sulla nuova vita frenetica della capitale, dove si richiedeva di poter mangiare velocemente piatti espressi cucinati sul momento. Si può quindi dire che il sushi nasce come una forma di fast food, nel senso più letterale del termine. Nel giro di pochi anni, in ogni angolo della città cominciarono a spuntare dei banchi a gestione familiare che preparavano e vendevano sushi. Questi banchi, che spesso erano carretti mobili, venivano portati in punti strategici della città, come le zone più commerciali. E allora come oggi, i consumatori erano soliti pulirsi le mani a fine pasto sulla tenda del carretto: in questo modo la qualità di un banco di sushi poteva essere valutata anche dal grado di sporcizia della tenda.

Foto by Flickr

E l’incontro con il mondo occidentale? Quando il sushi è stato scoperto dal mondo occidentale? Ovviamente non c’è una data precisa che indichi il momento in cui il primo europeo o americano abbia mangiato del sushi. Tuttavia una data storica c’è: si tratta dell’11 settembre 1952, giorno in cui il principe Akihito lo offrì ad alcuni ufficiali americani durante un ricevimento all’ambasciata giapponese a Washington.

Il galateo del sushi

Prima di passare ai freddi numeri della cucina giapponese, vogliamo anche soffermarci rapidamente su come si mangia il sushi. Intanto, proprio per la sua natura di fast food, il sushi può – e anzi è usanza – essere mangiato con le mani. Si possono usare anche le bacchette, volendo, ma non devono mai essere lasciate sul piatto ma riposte sugli appositi poggia-bacchette. Una volta preso il sushi si deve intingere nella salsa di soia, ma attenzione! Non dalla parte del riso, come spesso succede, bensì lasciando che a bagnarsi sia solo il pesce. Infine, si può utilizzare anche del wasabi – la piccante pastella verde a base di un raro ravanello giapponese – che però non deve essere mescolato alla salsa di soia. Infine, si dovrebbe mettere in bocca l’intera porzione di sushi, ponendo il lato ricoperto di pesce a contatto con la lingua (e non viceversa come è comune fare).

Un po’ di numeri

Abbiamo capito cos’è il sushi, quando è nato e come si mangia. Ma quanto è grande il suo successo fuori dal Giappone? La riposta è semplice: è enorme. Secondo il portale Nippon.com, nel 2015 il numero di ristoranti Giapponesi nati fuori da Giappone erano quasi 90.000, ma con un aumento esponenziale incredibile (basti pensare che nel 2013 se ne registravano soli 55.000 e nel 2006 appena 24.000).

Analizzando le diverse aree geografiche del mondo, si nota come l’Oceania abbia ottenuto il maggiore incremento di ristoranti giapponesi, con un aumento del 160% in soli due anni, seguita poi dal Medio Oriente (+140%) e dal continente africano, dove i ristoranti giapponesi sono pochi ma sono raddoppiati (+100%) nel biennio preso in esame.

Ad avere il maggior numero di ristoranti giapponesi, circa 45.000 (di cui la metà in Cina), è ovviamente l’Asia, seguita dagli Stati Uniti che ne possono contare 25.000.

Anche l’Europa ha visto una grande crescita di ristoranti nipponici, portandosi a 10.500 locali (+92%).

Con numeri come questi non è facile calcolare il giro di affari che la ristorazione giapponese può portare. L’ultimo dato accertato riguarda il solo mercato americano e risale al 2014 quando i ricavi furono circa 2 miliardi e mezzo di dollari. E da allora negli States c’è stato un aumento del 50% dei ristoranti, segno che il mercato è tutt’altro che saturo.

Fonti

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