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Oramai è sempre più facile imbattersi, anche nelle province meno popolate, negli alimentari etnici e probabilmente sarà capitato che l’occhio cadesse sui mochi, ovvero delle sfere bianche all’apparenza morbide e ripiene nei modi più disparati. Anche nella maggior parte dei ristoranti giapponesi ormai è solito trovarli nella lista dei dessert. Che cosa sono e qual è la loro storia?

Innanzitutto, il mochi è un popolare dolcetto giapponese ottenuto pestando il riso glutinoso in un impasto appiccicoso. Si tratta di un alimento fondamentale per le occasioni speciali e le celebrazioni, come i matrimoni e il Capodanno, ma viene anche consumato come spuntino o dessert durante tutto l’anno.

Questo dolce viene poi viene gustato in diverse forme, tra cui i ripieni tradizionali come la pasta di fagioli rossi (anko) e le castagne zuccherate, oltre a varianti più contemporanee come il gelato e il cioccolato. Anche in Corea è possibile trovare un alimento simile chiamato tteok. L’origine esatta del mochi però è sconosciuta, anche se si pensa che provenga dalla Cina; è comunque parte della cultura giapponese fin dal periodo Jomon (10.000-300 a.C.), quando la coltivazione del riso si diffuse in tutte le campagne. Tuttavia, è soltanto durante il periodo Nara (710-794 d.C.) che il mochi iniziò ad assumere l’aspetto che tutti conosciamo oggi. Durante il periodo Heian (794-1185 d.C.), il mochi divenne popolare tra l’aristocrazia, diventando un vero e proprio status simbol, e la gente lo serviva come offerte imperiali durante le occasioni speciali e le celebrazioni. A partire dal periodo Edo (1603-1868), il mochi era diventato ormai una presenza costante nell’alimentazione e si erano già sviluppate diverse varianti regionali. Un dizionario risalente a prima del 1070 chiamava un dolce di riso mochii. Intorno al XVIII secolo si cominciò a chiamarlo mochi. Esistono varie teorie che provano a spiegare la genesi di questo nome; una è che mochi derivi dal verbo motsu, letteralmente “tenere o avere”, per indicare che il mochi fosse un cibo donato da Dio. Ancora, esiste la parola mochizuki che significa “luna piena” e che ricorderebbe quindi il suo aspetto esteriore. Gli abitanti delle isole occidentali e sud-occidentali lo chiamavano muchimi, che significa “appiccicoso”.

La preparazione tradizionale del mochi consiste nel pestare il riso glutinoso cotto a grana corta (mochigome) con mazze di legno fino a formare un impasto appiccicoso ed elastico. Questo processo è noto come mochitsuki (da non confondere con l’appena sopracitato mochizuki) e normalmente viene eseguito in occasione di eventi speciali e fiere. A meno che non si sia degli abili produttori di mochi, è necessaria una squadra per portare a termine questo compito che richiede tempo e fatica fisica (la totalità del processo può richiedere infatti anche alcuni giorni). Prima di essere modellato e porzionato, il mochi viene messo a bagno e poi pestato pesantemente con mazze di legno. Nonostante la sua natura laboriosa, le persone amano questa tradizione ed è diventato un vero e proprio hobby, simile alla pasticceria natalizia. Le comunità e le famiglie giapponesi sono molto orgogliose dei loro piatti fatti in casa, che possono essere congelati e gustati tutto l’anno. Sebbene il mochi sia facilmente reperibile tutto l’anno nei supermercati, nei minimarket e nei negozi specializzati, il mochi fatto in casa ha ovviamente un sapore superiore.

Quando il mochi è stato introdotto per la prima volta in Occidente, inizialmente veniva chiamato “torta di riso giapponese” per la sua consistenza. Tuttavia, grazie soprattutto ai social media, la parola mochi ormai è entrata a tutti gli effetti nei vocabolari di molte lingue ed è quasi onnipresente come altri vocaboli giapponesi come sushi, sake o kimono. Quando si gusta il mochi all’estero, spesso è sotto forma di daifuku (letteralmente “grande fortuna”), ossia il classico mochi con un ripieno dolce di diverse varietà, in particolare col gelato. Quando il Giappone era ancora isolato, il commercio con gli altri Paesi era minimo e di conseguenza l’accesso ad altri ingredienti era essenziale. Per questo motivo molti dolci giapponesi si basano sulla stessa tavolozza di sapori: fagioli azuki, sesamo e castagne. Il mochi è a tutti gli effetti parte dell’immaginario collettivo nipponico: nel famoso racconto popolare giapponese Momotaro (Peach Boy), un ragazzo nasce in una pesca e si imbarca per salvare il suo villaggio da un gruppo di terribili troll. Prima di iniziare la sua avventura, la madre gli fornisce il kibidango, un alimento a base di farina di riso e acqua che viene comunemente consumato dalla gente comune per mantenersi in forze. Il dango è un tipo di mochi che si prepara arrotolando la farina di riso e l’acqua in piccole palline, che poi si cuociono al vapore o alla griglia e si insaporiscono con varie salse o condimenti. Come per il pane nelle storie occidentali, il dango è presente nei racconti popolari perché era un cibo comune. Con infinite opzioni di sapore e colore, il dango è versatile e si adatta a gusti diversi ed è un tipico cibo di strada che molti gustano durante l’anno in occasione di festività e fiere popolari. Sebbene i latticini siano un’aggiunta recente alla dieta giapponese, il Giappone ha trovato modi creativi per adattarli ai gusti locali. Un esempio divertente è il mochi aisu, o gelato al mochi, popolare in tutto il mondo. Il dessert è stato inizialmente offerto nei gusti vaniglia, cioccolato, fragola e nei gusti tradizionali giapponesi. Tuttavia, le aziende giapponesi rilasciano regolarmente nuove edizioni limitate e gusti stagionali che vanno dal delizioso allo stravagante. L’azienda di gelati al mochi numero uno in Giappone, Yukimi, è famosa per deliziare continuamente il pubblico con i suoi gusti creativi, disponibili nella maggior parte dei minimarket e supermercati. Dal tiramisù al budino, dal sesamo nero al durian, cercando di accontentare tutti i gusti.

In altre culture asiatiche, è possibile trovare torte di riso di vario tipo in Cina, Thailandia, Laos, Myanmar e Filippine. Tutti sono fatti con riso glutinoso, pestato o macinato in pasta o in polvere, e modellati in forme o cotti nuovamente per creare diversi dolci. Esistono molte varietà di nian gao cinesi, preparati con una pastella di farina di riso glutinoso non cotta, tra cui i tipi presenti nella cucina di Shanghai e nella cucina cantonese originaria del Guangdong. Durante il Capodanno cinese, il nian gao è ampiamente consumato anche nelle Filippine, una tradizione che deriva dalla grande popolazione di cinesi d’oltremare provenienti dalla regione del Guangdong. Nelle Filippine il nian gao è conosciuto come tikoy. Nella cucina filippina, una torta di riso, chiamata palitao in tagalog, è ricoperta di semi di sesamo e cocco grattugiato.

Fonti

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