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Ormai anche nelle province più remote non è difficile imbattersi in ristoranti o bar che prevedono nel menu la tendenza esotica degli ultimi anni, cioè la ciotola di poke. Ma di che cosa si tratta esattamente e qual è la sua storia?

Si scrive poke, ma si legge “poh-KAY” – come “okay” in inglese – ed è un piatto hawaiano che ha le sue radici nella cucina giapponese. Poke significa letteralmente “tagliato a pezzi trasversalmente”, in riferimento alle fette o ai cubetti di pesce crudo (generalmente tonno) marinati in salsa di soia e olio di sesamo, che vengono serviti in una ciotola insieme a riso, verdure e condimenti.

Foto by Nicole Goulart via Unsplash

Si pensa che il poke sia stato preparato per la prima volta dai nativi polinesiani, secoli prima che i viaggiatori occidentali giungessero sulle isole. In origine la composizione era molto più semplice, dato che prevedeva solo il pesce crudo pescato presso la barriera corallina, condito con sale marino e alghe tritate e combinato con noci di kukui arrostite e sminuzzate finemente. Le noci di kukui sono tipiche di un albero della specie Aleurites moluccana, hanno un sapore amaro e sono leggermente tossiche se consumate crude – nonostante ciò, sono comunque un ingrediente tipico delle cucine asiatica, hawaiana e sudamericana, e sono molto apprezzate per le loro proprietà medicinali. La salatura del pesce serviva sia per il sapore sia, cosa più importante, per la sua conservazione e il piatto si presentava senza riso e senza gli extra a cui siamo abituati.

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, un folto gruppo di giapponesi emigrò nell’isola per lavorare nelle piantagioni di zucchero e ananas. Dal momento che gli immigrati giapponesi erano diventati una parte consistente della popolazione (negli anni ’20 erano più del 40%, mentre ora questa stima si aggira attorno al 17%), non c’è da stupirsi che le loro abitudini alimentari siano diventate parte della cucina locale. Inoltre, il poke è legato indissolubilmente alla ciotola in cui viene servito; questo non è un caso dato che in entrambe le culture è più facile trovare ciotole che piatti sulle tavole.

Sia il popolo hawaiano che gli immigrati giapponesi amavano il pesce crudo e questa creazione, nata da una commistione culturale, ha cominciato a fare le sue prime apparizioni sui menu dei locali dagli anni ’70. Il celebrity chef Sam Choy (ribattezzato come il padrino del poke) fu uno dei primi a incoraggiare fortemente la diffusione della cucina del Pacifico, in particolare quella hawaiana, nel mondo e nel 1991 lanciò il Poke festival con annessa gara culinaria di ricette. Questo concorso ha mostrato a chef stellati e a cuochi amatoriali quanto si potesse essere creativi con un piatto di base così povero e semplice. Il concorso ha ancora luogo ogni anno nel mese di marzo. L’intuizione di Sam Choy non è sfuggita agli imprenditori che hanno capito appieno il potenziale di questo piatto: buono, colorato, sano, economico, replicabile in mille combinazioni, senza neppure bisogno di una cucina o di cuochi troppo specializzati. La ricetta perfetta per creare fast food in frachising di successo. Inizialmente il poke è arrivato in California, a Los Angeles, e lì si è evoluto fino a diventare la formula che conosciamo oggi. Come ogni food trend negli ultimi dieci anni, New York ha consacrato il suo successo, e l’ha fatto conoscere e amare al resto del mondo.

Foto by Photo by Miu Sua on Unsplash

Grazie a iniziative come questa, ormai il poke è entrato nei dizionari di tutto il mondo e, anche se per alcuni può essere solo una “tendenza” gastronomica, fa parte dello stile di vita alle Hawaii (qui si può trovare dalle piccole bancarelle ai ristoranti raffinati, e persino nelle stazioni di servizio) e può essere tranquillamente servito ovunque: dagli eventi sportivi, ai matrimoni di alto livello. Alle Hawaii, i supermercati hanno spesso il proprio bancone per i poke, dove i clienti possono far preparare la ciotola secondo i loro gusti. La moderna ciotola poke è un piatto che si può adattare a ogni gusto e preferenza. I cubetti di pesce, infatti, sono l’unico requisito: possono essere crudi, marinati o al forno. Sono concesse molte varianti, anche al limite della creatività, ma la maggior parte delle versioni rimane comunque legata alle radici nippo-hawaiane.

Come si compone una ciotola di poke?

Una ciotola di poke è composta da diversi livelli: alla base si stende uno strato di riso (solitamente si usa la qualità shari, ideale per il sushi), sebbene siano possibili variazioni a piacere: dal riso di bambù alla quinoa o ai noodles di soba. Il riso è preferibile da servire tiepido o caldo, perché in contrasto con la freschezza del pesce.

Foto by Jonathan Borba via Unsplash

La componente proteica è data dal pesce che è quindi l’ingrediente principe del poke; il tonno pinna gialla viene più comunemente utilizzato, ma è facile anche trovare salmone, calamari e dentici. I filetti di pesce vengono tagliati per lungo e poi fatti a listarelle o a cubetti. Se non piacesse il pesce crudo, ci sono svariate alternative, come il tofu o la polpa di granchio cotta. Chi preferisce la carne al pesce, potrà optare per del pollo cotto e tagliato a cubetti o della carne di manzo.

Un condimento salato è indispensabile e deve sposarsi bene con il pesce (spesso grasso). La salsa di soia (shoyu) è un classico, ma anche i condimenti a base di salsa ponzu e pasta di fagioli neri sono molto apprezzati.

La componente vegetale consiste in verdure fresche, in particolare avocado, verdure a foglia, edamame e/o germogli di soia. Aggiunte come cipollotti, noci sbriciolate, togarashi (una miscela di peperoncino giapponese) e fette di zenzero sottaceto possono dare un’ulteriore marcia in più.

Se il poke è sano dipende dagli ingredienti con cui è fatto, così come dalle singole esigenze e preferenze di salute personali. Come accennato prima, alcune delle verdure più comuni utilizzate in questo piatto sono avocado, aglio, cipolla e carote, che sono ricche di vitamine, minerali, fibre e antiossidanti; il pesce è una buona fonte di proteine ​​e acidi grassi omega-3 insaturi, importanti per la funzione cerebrale, la salute del cuore e per ridurre le infiammazioni.

Foto by Jojo Yuen via Unsplash

Le rivisitazioni in salsa fusion

Come già detto, nonostante la semplicità del piatto in sé, il poke si presta a numerosi e abbinamenti ed esperimenti, anche i più disparati e particolari. Tra le memorie delle passate edizioni del contest organizzato da Sam Choy, si possono leggere tentativi bizzari di poke con aggiunta di caramelle gommose a forma di verme oppure con un mix di salsa di soia Bacardi Rum, per creare una sorta di “poke west”.

Nel 2013, tra i partecipanti amatoriali, Sabine-Maeva Andresen ha vinto il secondo posto nella categoria salsa di soia grazie a un ingrediente interessante dal tocco tedesco: i crauti. Il suo Kraut-Ahi Poke prevede tonno a pinne gialle (identificato spesso col termine ‘Ahi’ in hawaiano), cipolla dolce Maui a cubetti, olio di sesamo, semi di sesamo tostati, aglio, peperoncino tritato, zenzero, crauti, salsa di soia locale Aloha, alghe, cipollotto e mezza tazza di caffè Kona (che viene raccolto da delle piantagioni delle Hawaii, alle pendici appunto del vulcano Kona).

Un’altra delle tante rivisitazioni fusion, declinata nella sua forma contemporanea più popolare, è quella dei poke nachos: si tratta del classico poke fresco, ma appoggiato su dei nachos croccanti e condito con salse gustose, come l’aioli piccante. Ancora, si può menzionare la Ahi poke tostada creata dal supermercato Foodland Farms, popolare per la sua ricca selezione di poke, e che consiste in ahi poke, peperoncini Jalapeno, coriandolo e salsa ponzu.

Fonti

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