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Nato nel 1800 (ma la sue origine è dubbia e contesa tra più parti), associato al junk food negli anni ’70 e bistrattato da chef e critici culinari, l’hamburger sta vivendo una seconda giovinezza ed è rivalutato anche nel vecchio continente. Questa è la breve storia del re dei panini.

Carne macinata e due fette di pane. Iniziò tutto così

Non è chiaro chi sia stato l’inventore dell’hamburger. La cosa più probabile è che alcune versioni “rustiche” del famoso panino si siano diffuse in più parti del mondo già ai tempi dell’antica Roma. Ma se si vuole rintracciare l’origine nel vero panino con l’hamburger, ovvero con la carne di manzo macinata e pressata, sembra si debba tornare all’inizio dell’800, quando flotte di europei si dirigevano verso il Nuovo Mondo in cerca di fortuna, in quelli che spesso erano viaggi lunghi, perigliosi, estremamente cari e molto poco confortevoli. In navi costipate e con la necessità di massimizzare spazi e costi, si cominciò a tritare la carne per i passeggeri e a pressarla, in modo che fosse più semplice trasportarla. Carne che poi veniva cotta sulla griglia e servita con due fette di pane. I passeggeri, una volta sbarcati, ricercavano quel piatto nutriente ed economico, contribuendo così alla diffusione in America del panino più famoso del mondo (il primo ristorante americano a proporre un hamburger nel suo menù sembra essere stato il Delmonico’s, a New York, attorno al 1870). Ma perché il nome hamburger? Anche qua non ci sono fonti certe ma sembra avere proprio origini navali: una delle compagnie marittime più attive sulla rotta tra Europa e Stati Uniti, infatti, era la Hamburg Line, con sede ad Amburgo (città che in inglese si chiama Hamburg, appunto), e gli Hamburger, quindi, altro non erano che i pasti serviti sulle loro navi.

Dagli anni ’20 agli anni ’80 – Il periodo d’oro

Se l’hamburger si è diffuso a fine ‘800 negli Stati Uniti ed è arrivato sino a noi, significa che ha attraversato più di un secolo di storia, vivendo momenti di gloria e di discredito. Il primo grande scoglio che ha dovuto superare, ad esempio, è stata la grande depressione degli anni ’20. In un periodo storico dove una larga fetta della popolazione faticava ad avere da mangiare tutti i giorni, l’hamburger divenne una preziosa fonte di nutrimento. Sostanzioso, economico, facile da mangiare e trasportare, l’hamburger – all’epoca servito senza formaggio, salse o spezie – vide la sua popolarità crescere, anche grazie all’apertura del White Castle, il primo fast food diffuso su larga scala. Famoso per i suoi hamburger piccoli e quadrati, White Castle vendeva il panino a 5 centesimi, ma era solito fare promozioni ancor più convenienti, arrivando a vendere gli hamburger a 2 centesimi l’uno. In tutto il periodo che va dagli anni ‘20 sino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, l’hamburger fu essenzialmente questo: una fonte di cibo economica, capace con poco di riempire gli stomaci.

Foto by Flickr

Le cose cominciarono a cambiare a conflitto finito. Il grande boom economico degli anni ’50 allargò tasche e stomaco degli americani, che cominciarono ad abituarsi a porzioni sempre più grandi. È il periodo dei Drive In, delle tavole calde, delle cameriere sui pattini e degli enormi hamburger. Il panino divenne in questi anni un’icona a stelle e strisce, abbandonando del tutto la sua presunta origine teutonica. E sempre in questi anni si ha l’avvento della più grande catena di fast food del mondo: nata nel 1937, è solo nel ’55 che MacDonald’s diventa la catena che tutti oggi conoscono. La trasformazione degli hamburger è evidente: da piccoli, poco speziati e sottili, diventano enormi, spesso con più fette di carne all’interno, accompagnati da salse, formaggio, verdure e le immancabili patatine fritte. Le parole d’ordine diventano due: quantità e velocità, in pieno fast food style.

La strada è tracciata e scorre rapida verso il successo: sono decenni di espansione rapida che vedono, a partire dagli anni ’70, gli hamburger e i fast food diffondersi a macchia d’olio in tutto il mondo. Sino a tutti gli anni ’80 l’hamburger vive il suo periodo d’oro, diventando quasi uno status symbol.

Scena dal film The Founder

Gli anni ’90 e 2000 – Il lento declino

Con gli anni ’90 le cose cominciano però a cambiare. I fattori che portano a questo cambiamento sono diversi. L’aumento del prezzo della carne, ad esempio, fa sì che l’hamburger – per quanto economico – non sia più quel pranzo così conveniente come era prima. Un altro fattore, forse fondamentale, è il diffondersi di studi sull’alimentazione che mettono in evidenza i danni derivanti dagli eccessi di grasso, sale e colesterolo assunti attraverso una dieta sbagliata. Siamo agli albori di una nuova era, fatta di consapevolezza alimentare da parte dei consumatori. Questo fattore viene forse sottovalutato dalle grandi multinazionali che devono però ben presto fare i conti anche con un altro aspetto della cultura alimentare (soprattutto europea): il diffondersi della dieta vegetariana. Seppur lentamente, infatti, il consumo della carne rossa cala di anno in anno, un po’ per motivi etici, un po’ per presunti motivi salutistici. All’inizio del nuovo millennio l’hamburger viene considerato come un pasto dannoso, da evitare. Il culmine di questa crisi si ha nel 2006 quando lo stesso McDonald’s è costretto a chiudere in Gran Bretagna 25 punti vendita per mancanza di clienti, bloccando anche l’apertura di nuovi franchising per gli anni successivi.

La trasformazione – Nasce l’hamburger gourmet

Se le grandi catene – per fronteggiare la crisi – hanno provato a modificare i propri menu e la propria immagine (storico è stato il passaggio dell’insegna di McDonald’s dal rosso al verde), l’hamburger ha trovato altre strade per farsi apprezzare. Abbandonando le vie dei fast food, considerati ormai poco salubri anche dai più giovani, l’hamburger si reinventa. E tutto nasce, ancora una volta da New York, dove lo chef Daniel Boulud dà una nuova “dignità” al panino più amato d’america: perché deve essere realizzato per forza con materie prime scadenti? Perché non può invece essere un piatto gustoso, sano e anche ricercato? Ed ecco che lo chef propone nel suo ristorante l’hamburger al foie gras. Il prezzo? 29 dollari. Certamente non poco ma segna una spaccatura netta con la concezione stessa dell’hamburger visto esclusivamente come cibo povero e popolare. È l’inizio di una piccola rivoluzione. L’hamburger cambia faccia, si trasforma, diventa gourmet. Abbandona le materie prime scadenti e si rivolge invece al chilometro zero, alla carne di prima scelta (talvolta anche estremamente pregiata come nel caso dell’hamburger di kobe, una particolare razza di manzo giapponese), a prodotti cruel free, al pane di cereali o lievitato naturalmente, alle verdure biologiche. Si reinventa, insomma, come piatto adatto alle esigenze e ai gusti dei consumatori di oggi.

Il risultato? Dopo anni di cali la vendita di hamburger torna a salire: del 3% dal 2013 al 2016 e di un altro 2% sino al 2018. Una ripresa che premia la capacità di lettura della società e quella di cambiamento di pensiero e di target di riferimento: il cliente infatti resta il fulcro e l’hamburger che mangerà sarà la sintesi di un processo molto più ampio che inizia da modelli sostenibili in agricoltura, sino alla necessità di gustare tagli di carne valorizzati al meglio. Capito questo il mercato si getta in una nuova avventura: nascono così hamburger legati ai prodotti tipici locali (ad esempio con formaggi freschi), hamburger al carbone vegetale, hamburger di pesce o vegetariani, hamburger floreali, di carne equina o al tartufo. Cambiano i prezzi, il pane, gli abbinamenti e i tempi di consumo. Cambia – insomma – tutto, con l’idea costante però di una ricerca continua della qualità.

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