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Esistono centinaia di vini diversi nel mondo che si differenziano non solo per il colore e la provenienza ma per una miriade di fattori impossibili da elencare. C’è però un comune denominatore per tutti quei vini che si fregiano di essere “di qualità”: l’essere in bottiglia di vetro. Esistono ovviamente altre confezioni per il vino (dal tetrapak alla bottiglia in plastica e con tappo a vite, ma senza dubbio la bottiglia in vetro è la più utilizzata, soprattutto per vini di una certa qualità. Ma quando nasce la bottiglia in vetro? E quando si è diffusa? Forse vi stupirà sapere che la sua nascita è antichissima ma la sua industrializzazione risale solo a inizio 1900. Ma andiamo con ordine e vediamo insieme un po’ di storia di questo contenitore così familiare.

Prima delle bottiglie di vetro

Le origini delle bottiglie di vetro sono antichissime. Fabbricate già nell’antica Grecia e – ancor prima – nell’antico Egitto, si hanno reperti di contenitori in vetro risalenti a 1500 anni prima di Cristo. Allora il vetro veniva utilizzato soprattutto come elemento ornamentale, in piccole sfere incastonate in tazze o gioielli, ma si hanno ritrovamenti anche di piccole e grandi bottiglie di vetro, utilizzate per l’acqua ma soprattutto per unguenti e profumi . Non è un caso che molti reperti provengano infatti dalle tombe dei faraoni. Queste piccole bottigliette, spesso non più grandi di un pugno, erano realizzate tramite la tecnica del “nucleo friabile”: il vetro veniva cioè fuso attorno ad un sacchetto ripieno di sabbia; una volta raffreddato si apriva il sacchetto, si faceva fuoriuscire la sabbia e si otteneva così la bottiglia cava.

Il vino era allora elaborato, trasportato, conservato e servito in diversi tipi di giare e di anfore o in brocche di terracotta e metallo, e solo raramente posto all’interno di recipienti di vetro. Il motivo di questa scelta è semplice: il vetro realizzato nell’antichità era estremamente fragile e inadatto a un uso quotidiano.

Foto by Wikimedia

Le origini della bottiglia di vetro per il vino

Le prime bottiglie di vetro dedicate esclusivamente al vino appaiono in forma diffusa a Venezia, attorno al 1300. Si tratta delle “bucae”, bottiglie basse e dalla panciatura quasi sferica, simili a quelle che oggi vengono usate soprattutto per alcuni liquori. Le “bucae” dovevano recare sul collo un cerchio azzurro ed essere marcate col bollo della Repubblica di Venezia che ne deteneva il monopolio. Le “bucae”, tuttavia, sono ancora fragili e sono quindi destinate solamente al servizio del vino. La fragilità delle bottiglie comportava più di un inconveniente. Il trasporto è ovviamente difficoltoso (motivo per cui si preferiscono usare ancora le botti in legno) ma anche la conservazione non è ottimale: i tappi in sughero, infatti, fanno fermentare il vino che, a sua volta, fa esplodere le bottiglie. Si devono quindi utilizzare tappi di legno, o di cuoio cerchiati di canapa ricoperti di sego e mantenuti con dei legami di stagno, che – tuttavia – non riuscivano a conservare il vino a lungo.

È solo dopo la creazione di nuove bottiglie da parte di vetrai inglesi, attorno al 1600, che si cominciano a utilizzare quest’ultime anche per il trasporto e l’invecchiamento. Grazie alle pareti più spesse e alla loro resistenza, infatti, si possono cominciare a esportare in tutta Europa e si può tornare a utilizzare i tappi di sughero, ottimali per la conservazione a lungo periodo del vino. Ma la disponibilità di un contenitore e di un tappo, entrambi ermetici, è un passo fondamentale che permette non solo lo sviluppo dello champagne, ma anche la riscoperta di una nozione ben nota nell’antichità ma ormai dimenticata da tempo, ossia che un vino conservato al riparo dall’aria si bonifica invecchiando. È solo in questo periodo, quindi che si riescono ad avere vini invecchiati di qualità. Ed è sempre in questo periodo che la bottiglia, poco a poco, lascia la forma sferica per allungarsi e stringersi, arrivando alla forma che tutti conosciamo.

Dall’Inghilterra si avvia quindi la diffusione delle bottiglie moderne: prima verso la Francia, dove si fonda anche la prima vetreria, e successivamente in Germania e in Italia.

Foto by Wikipedia

L’industrializzazione

Sino al 1700 le bottiglie di vetro per il vino vengono usate quasi solo a scopo “personale”. Produrre una bottiglia di vetro, infatti, è una procedura lunga e macchinosa e non adatta alle esigenze industriali. I produttori si limitano quindi a venderle a chi desidera avere una collezione privata o a chi desidera farne sfoggio con i propri ospiti. Sono quindi oggetti destinati a un pubblico ristretto, spesso altolocato, mentre nelle taverne e nei negozi si continuano a trovare botti e otri. Con l’avvento della rivoluzione industriale il processo di produzione si semplifica ma è solo sul finire dell’800 che si può parlare di produzione industriale delle bottiglie, grazie a Claude Boucher, un vetraio di Cognac che inventa e brevetta la prima macchina per la soffiatura meccanica del vetro, permettendo così di rispondere ai fabbisogni del mercato che, nell’ultimo secolo, si è notevolmente sviluppato.

La cronologia dell’introduzione delle macchine in vetreria si può suddividere in tre momenti, ciascuno caratterizzato dall’introduzione di un modello più progredito e complesso: dal 1898 al 1906 si utilizzano le macchine semiautomatiche di Boucher; dal 1905 al 1917 si passa alle macchine automatiche a bacino rotante; e dal 1917 in poi si arriva ai macchinari completamente automatici alimentati dalla caduta della goccia di vetro e all’utilizzo dei forni fusori.

Quest’ultima tecnica è quella utilizzata tutt’oggi anche se con alcuni accorgimenti utili a venire incontro alle esigenze dell’industria enologica.

Foto by Flickr

La forma: la bottiglia come identità

Così come i materiali, anche la forma della bottiglia è cambiata nel corso dei secoli. Nata come piccola e tozza, si è affusolata con il progredire della tecnica, sino ad arrivare alle bottiglie a collo lungo odierne e alle sperimentazioni tutt’ora in corso (come le bottiglie piatte di cui vi abbiamo parlato qui). Sino al XVIII secolo i vini vengono imbottigliati dall’importatore e non sul luogo di produzione e la forma delle bottiglie non è quini legata in alcun modo alla regione di origine del vino. Le cose cambiano nel XIX secolo: scelta dal produttore, la bottiglia partecipa attivamente all’immagine del vino, contribuendo a distinguere anche i singoli prodotti. Le tipologie che più si diffondono (e che anche oggi sono le più utilizzate) sono la bottiglia bordolese (che è quella più comune e che deve il suo nome alla zona circostante la città di Bordeaux), la bottiglia dello champagne borgonga (utilizzata appunto per le bollicine) e la flute (tipica delle regioni del Reno, dalla forma molta slanciata ma con una base più tondeggiante).

Una curiosità: gli Stati Uniti sono i maggiori consumatori di vino, con 32.6 milioni di ettolitri bevuti ogni anno

Vogliamo concludere questa panoramica sulle bottiglie con una curiosità: com’è noto quasi tutte le bottiglie di vetro dedicate al vino o alle bollicine hanno un fondo rientrante, detto “a campana”. Questa particolare forma serve sia a raccogliere i depositi del vino, sia a resistere maggiormente alla pressione interna data dai gas dello champagne. Vi è però proprio uno champagne famoso per avere una bottiglia a fondo piatto. Si tratta dello champagne francese Louis Roederer di tipo “Cristal”, che fu creato nel 1876 appositamente per Alessandro II di Russia, zar dal 1855 al 1881. Alessandro II era infatti un gran appassionato di vini di questa casa ma richiese esplicitamente bottiglie con un fondo piatto e trasparenti (per questo venne realizzata in cristallo, da cui il nome “Cristal”), in modo che fosse possibile vederne sempre il contenuto: era infatti preoccupato che qualcuno potesse nascondere all’interno della campana un pugnale o una carica esplosiva per assassinarlo.

Fonti

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