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Il tè è una delle bevande più antiche del mondo e risale a oltre 5.000 anni fa. Ancora oggi fa parte della tradizione e dei riti quotidiani di moltissime parti del mondo, anche molto distanti tra loro, e si diversifica per un’infinità di aspetti: dalle foglie alla preparazione, dall’infusione alle tazze in cui servirlo, dall’uso di limone, latte o zucchero al momento in cui berlo. Da semplice bevanda dissetante a vero e proprio rito, il tè fa parte della cultura umana. E noi vogliamo parlarne un po’ meglio.

Il tè si beve per dimenticare il frastuono del mondo.

(T’ien Yiheng)

Un po’ di storia e curiosità

Iniziamo con una domanda forse banale su questa antica bevanda: come si scrive? La corretta grafia in italiano è tè, ma – stando all’accademia della crusca – sono accettabili anche le versioni tea (che sarebbe la versione inglese) e thé (quella francese). Non è corretto invece scrivere te (come il pronome), the (senza accento è solo l’articolo determinativo inglese) né tantomeno te’, apostrofato, o té, con l’accento acuto. Chiarito questo aspetto, cerchiamo di fare un po’ di luce sull’origine del tè.  Come tutti sanno, il tè è una pianta. Giusto? In realtà non proprio. Quella che viene comunemente chiamata pianta del tè è in realtà una Camellia sinensis, che significa Camelia Cinese. Con tè, invece, ci riferiamo alla bevanda che viene prodotta con l’infusione delle foglie e dei germogli di questa particolare pianta. E qui una prima nota interessante: di tipologie di tè ce ne sono moltissime, ma tutti i tipi di tè traggono origine dalla lavorazione della Camellia sinensis. Soltanto i metodi di lavorazione differenziano le varie tipologie: il tè nero, ad esempio, deriva dall’infusione di foglie macerate, essiccate e tritate; il tè verde, invece, da foglie in cui non deve essere mai avvenuta alcuna forma di ossidazione, mentre il tè bianco si ottiene grazie all’infusione delle gemme. Ma tutti prendono vita dalla medesima pianta. Pianta che è originaria del sud-est asiatico – ma che oggi è coltivata in tutto il mondo – e che può raggiungere i dieci metri di altezza, anche se nelle coltivazioni, che si estendono per centinaia di ettari, si tende a tenerla più bassa per rendere più facile la raccolta.

Ma quando si è cominciato a parlare di tè? Non è facile dirlo. In molti – come ad esempio l’Encyclopedia Americana – sostengono che si sia cominciato ad usare il tè 5.000 anni fa. Se abbiamo detto “usare” e non “bere”, tuttavia, c’è un motivo. Pare infatti che il primo uso del tè non fosse come bevanda, ma come decotto da utilizzare per curare le ferite o per alleviare i dolori muscolari o quelli derivanti dai reumatismi. Solo in un secondo momento si è cominciato a berlo. I primi riferimenti letterari al tè risalgono invece al 500 a.C., quando Confucio, in uno dei suoi trattati, citò la pianta prima e la bevanda poi. Nell’VIII secolo, invece, viene scritta la prima opera “scientifica” sul tè: si tratta de Il Canone del Tè, o Cha Ching, del poeta Lu Yu, capostipite di una importante tradizione di saggi dedicati al tè, che sono giunti sino a noi in ottime condizioni, segno del rispetto con cui si trattasse in Cina l’argomento.

Nel corso dei secoli sono anche cambiate le modalità di preparazione del tè. Le foglie venivano inizialmente bollite assieme all’acqua, mentre solo in un secondo momento si è arrivati all’infusione che utilizziamo anche oggi. Una preparazione particolare si sviluppò invece in Cina attorno all’anno mille, durante la dinastia Song: le foglie venivano pressate e pestate sino a essere ridotte in polvere che poi veniva sbattuta, con un frustino di bambù, in una ciotola assieme all’acqua calda, sino a creare una sorta di schiuma densa e molto dolce. È la preparazione che è alla base della cerimonia del tè Giapponese.

Se nell’estremo oriente bere tè era una tradizione già nell’antichità, non si può dire lo stesso nel vecchio continente. In Europa il tè è arrivato attorno al 1600 e si diffuse soprattutto in Francia, durante il regno di Luigi XIV, il Re Sole. Solo un secolo più tardi il tè si diffuse in Inghilterra, dove – nel giro di pochi anni – divenne bevanda nazionale, tanto da spingere la Regina Vittoria a creare enormi piantagioni di Camellia sinensis nelle terre conquistate in India. Una particolarità nata a Londra proprio attorno al 1800 riguarda le tazze con cui il tè veniva bevuto. Vi era una correlazione tra la grandezza della tazza e il ceto sociale di appartenenza: tanto più era piccola la tazza, tanto più si era considerati ricchi o nobili. Ai popolani, invece, veniva versato nelle “mug”, le ampie tazze tipiche della tradizione anglosassone.

Come viene bevuto oggi il tè

Così come nel passato, anche oggi esistono diverse differenze sulla preparazione del tè. Lasciando per il momento da parte la cerimonia del tè Giapponese, di cui parleremo più avanti, vogliamo qua concentrarci su tre paesi in cui il tè è diventato parte integrante della cultura e della società. E ci fa piacere che siano paesi geograficamente lontani, a dimostrazione del fatto che questa bevanda ha davvero conquistato tutto il mondo. Si tratta dell’Inghilterra, della Russia, del Tibet e del Marocco.

Nel Regno Unito il tè delle cinque (che in realtà inizia spesso alle quattro) è una vera e propria tradizione, ma non così antica come ci si potrebbe aspettare. La sua nascita viene fatta risalire, infatti, al XIX secolo quando Anne Stanhope, duchessa di Bedford, prese l’abitudine di invitare amici e parenti a prendere un tè nelle sue tenute. Ma se si pensa che questa consuetudine si basasse sul prendere un tè con qualche pasticcino, ci si sbaglia di grosso. Quello che veniva messo su era una sorta di piccolo banchetto, con molti dolci ma anche pezzi salati. Questo perché nel 1800, in quel dell’Inghilterra, era consuetudine pranzare molto presto (attorno alle 11 e mezzo) e cenare tardi (non prima delle 21.30). Sembrò quindi opportuno inserire una sorta di terzo pasto nel mezzo ai due principali, per attenuare, diciamo così, i morsi della fame.

Quello che prese il nome di “afternoon tea”, diede origine a una serie di regole trasformate poi in vere e proprie etichette di stile che comprendevano accessori, tazze, teiere, alzate e persino abiti e argomenti appropriati. Oggi l’afternoon tea è una tradizione ancora in voga, anche se in versione molto semplificata, che si può fare a casa o nelle prestigiose sale da tè londinesi (al prezzo di circa 35-40 sterline). Il tè viene servito in genere in eleganti teiere di porcellana e accompagnato da latte, limone o zucchero, da scegliere a seconda dei gusti. In Inghilterra vi è poi una sorta di detto popolare che serve a calcolare quanto tè mettere in infusione: un cucchiaino per persona più uno per la teiera.

Foto by Flickr

La padrona di casa sedette al samovar e si tolse i guanti. Spostando le sedie con l’aiuto dei camerieri che non si facevano notare, la compagnia si distribuì in due gruppi, uno accanto al samovar intorno alla padrona di casa, l’altro all’estremo opposto del salotto.

(Lev Tolstoj – Anna Karenina)

Parlare di tè e di Russia significa parlare di samovar.

Il samovar è un grande bollitore che contiene diversi litri di acqua e che veniva posto su grosse tavole attorno a cui si riuniva tutta la famiglia in momenti di condivisione e convivialità.

Originariamente un pezzo di carbone incandescente veniva posto nella parte centrale del samovar, di modo che l’acqua si mantenesse calda anche con il trascorrere delle ore.

Ad oggi i samovar sono elettrici, con un termostato utile per regolare la temperatura dell’acqua a seconda dei diversi tipi di tè.

Un rubinetto situato sulla parete esterna consente di riempire con facilità teiera, tazze o bicchieri. La teiera viene riempita con un gran quantitativo di foglie e con una piccola quantità di acqua, e viene poi posta sul bollitore. Ognuno si serve poi un po’ di questo concentrato di tè nella propria tazza diluendolo a piacere con acqua calda spillata dal rubinetto. In Russia il tè non viene quasi mai consumato amaro ma viene sempre aggiunto dello zucchero o, seguendo una antica tradizione, viene bevuto amaro ma tenendo una zolletta di zucchero in bocca.

Foto by Wikimedia

Dalla fredda Russia passiamo al Marocco, altro paese dove la tradizione del tè affonda le radici in tempi lontani. La cerimonia del tè marocchina, perché di cerimonia si tratta, si chiama Atay Naa Naa ed è considerata una forma di grande ospitalità e posta in essere sia all’interno delle abitazioni che in alcuni esercizi commerciali, subito prima di intraprendere le lunghe trattative di acquisto. Il tè più utilizzato in Marocco è lo Special Gunpowder, zuccherato e aromatizzato con menta fresca leggermente pressata a mano. La preparazione di questo tè – molto fresco e dissetante – è piuttosto particolare. Nella teiera vengono messe le foglie di tè e una tazza di acqua bollente. L’acqua viene fatta rotare nella teiera e poi buttata via – o, seguendo le antiche tradizioni, messa da parte, essendo quella “l’anima del tè”. Poi si aggiunge la menta e nuova acqua bollente. Si lascia quindi in infusione per quasi 10 minuti e infine versato, tenendo la teiera in alto, anche a 40-50 centimetri, e lasciandolo cadere in genere in piccoli bicchieri dalle rifiniture dorate. Assieme al tè alla menta, però, vi è anche un altro tè che viene bevuto comunemente in Marocco, ed è quello della tradizione Tuareg. Questo tè è più forte del precedente e non viene aromatizzato con la menta, ma viene bollito direttamente nell’acqua. Il suo sapore è deciso e amaro, e viene generalmente servito in piccole tazze per tre volte di fila. I Tuareg hanno anche un detto riguardo queste tre tazze di tè: la prima è amara come la morte, la seconda è forte come la vita, la terza è dolce come l’amore.

Foto by Flickr

Il tè è apprezzato in molte parti del mondo dove il freddo si fa pungente. In alcune zone della Scandinavia, ad esempio, viene servito gratuitamente come metodo per combattere il gelo. Anche in Tibet bere una bevanda calda può senza dubbio aiutare, tanto che per i tibetani il tè equivale al caffè per un italiano: se ne prende una tazza la mattina, una dopo i pasti e una o due durante la giornata. Ma il tè tibetano è un po’ diverso da quello a cui siamo abituati: il loro è tè al burro di yak (un grosso bue tibetano). La preparazione del tè al burro di yak è lunga e complessa:  si fa bollire l’acqua e poi vi si mette in infusione il tè nero. A questo punto le cose si fanno un po’ complesse perché un tempo di infusione preciso non c’è. Per l’uso quotidiano si aspettano quattro o cinque minuti ma per le feste tradizionali si può aspettare anche diverse ore. Una volta raggiunto il grado di intensità desiderato, si pone il tè in un cilindro di legno dove vengono aggiunti latte di yak, burro di yak e sale. Poi si mescola il tutto sino ad ottenere la consistenza giusta (che è liquida ma densa).

Foto by Flickr

(fine prima parte – leggi la seconda)

Fonti

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